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L’anima da tre soldi, molto più che l’esito di un laboratorio

L'anima da tre soldi

Teatro

L’anima da tre soldi, molto più che l’esito di un laboratorio

L’anima da tre soldi, più che un semplice laboratorio.

Ci eravamo detti che non avremmo scritto di esiti di laboratori e quant’altro. Questa volta però un’eccezione va fatta. “L’anima da tre soldi” firmata da Max Mazzotta la vale tutta. E per più di un motivo.

Prima di tutto per l’entusiasmo e la riuscita di questi attori in erba. Si trattava dei partecipanti al laboratorio di ricerca teatrale tenuto da Mazzotta nei mesi scorsi all’UniCal: Chiara Maltese, Elisa Marta, Giuseppe Tenuta, Pasquale Mammoliti, Ruben Terzo, Salvatore Romano e Vincenzo Marco Caparelli. Sette tra giovani e giovanissimi, di età compresa tra i 18 e i 26 anni, che si sono messi in gioco con uno spettacolo di livello, superando una prova che, delle volte, anche in ambiti professionali, non viene saputa affrontare allo stesso modo. Incoscienza? Forse.

Sebbene si trattasse di una riscrittura, L’anima da tre soldi è sempre un lavoro brechtiano, mica una recitina parrocchiale (non ce ne vogliano, anzi, anche i talenti da qualche parte devono pur cominciare), eppure questi ragazzi sono sembrati assolutamente a loro agio nei panni dell’acquaiolo Wang, della buonissima Shen Te (molto bravo il suo interprete, alle prese anche con il personaggio di Shui Ta), dei tre cialtronissimi dei e di tutti gli altri. E, sebbene alle prime armi, hanno convinto.

Merito anche di una scelta, quasi consueta per Mazzotta, di unire nella produzione di Libero Teatro L’anima da tre soldi, due opere, in questo caso di Bertolt Brecht, “L’anima buona di Sezuan” e “L’opera da tre soldi”. Ma non solo, Mazzotta è andato oltre trasformando le celebri canzoni di Kurt Weill in brani tra rap e hip hop, che sono stati la chiave interpretativa di tutto lo spettacolo.

Con abiti di scena tipicamente “street”, il teatro canzone di Brecht è stato così rinverdito, e sicuramente reso più divertente oltre che accattivante per le nuove generazioni. E infatti non temiamo smentita sostenendo che i sette protagonisti, ma non solo loro, si sono pure divertiti, e tanto, a lavorare a questo spettacolo, fatto di incastri, cambi di scena repentini, veloci come quelli dei personaggi.

Con pochissimi elementi scenici, che di volta in volta gli stessi ragazzi hanno opportunamente spostato creando situazioni e atmosfere differenti, L’anima da tre soldi è stata un esempio perfetto di macchina teatrale, in cui ogni elemento – sia esso umano che oggettistico – era perfettamente incastrato con l’altro. Con i ritmi dettati da Mazzotta, del resto, non c’era scampo nè spazio per una qualsiasi imprecisione.

A dispetto delle dimensioni del palcoscenico del DAM Entropia, più piccolo rispetto a quello del Tau dove avrebbe dovuto andare in scena la tre giorni de L’anima da tre soldi, la prova è decisamente riuscita. I lunghissimi applausi del pubblico che ha riempito le serate – tutte sold out -, lo confermano. I commenti entusiasti anche da parte degli esperti del settore – che non si sono lasciati sfuggire l’occasione dell’ennesimo sorprendente esperimento firmato Max Mazzotta -, non lasciano dubbi. Pollice su. Forse de L’anima da tre soldi, sentiremo ancora parlare, o almeno ce lo auguriamo.

Credits L’anima da tre soldi

Adattamento e Regia – Max Mazzotta
Aiuto regia – Ilaria Nocito
Responsabile tecnico – Gennaro Dolce
Aiuto Costumi – Ruben Terzo

Disegni e Grafica – Giuseppe Tenuta
Fotografia – Desirèe Tieri

Organizzazione – Iris Balzano

Produzione – Libero Teatro

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