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TarantaCeltica, suoni e ritmi dal Mediterraneo alle Isole Aran

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TarantaCeltica, suoni e ritmi dal Mediterraneo alle Isole Aran

Questa sera per il Festival d’autunno alla Grangia Sant’Anna di Montauro, in prima nazionale il concerto che mette insieme musiche tradizionali calabresi e quelle irlandesi. L’intervista al percussionista Dave Boyd

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di Jo March

Sarà di scena questa sera alla spettacolare Grangia di Montauro per la prima nazionale del nuovo progetto “TarantaCeltica”, realizzato grazie all’Istituto Italiano di cultura di Dublino e da Culture Ireland, prodotto dalla Ten42 productions, ospite del XX Festival d’autunno. Lui è Dave Boyd, percussionista irlandese, insieme al suo collega romano – ma anche un po’ calabrese – Andrea Piccioni, padre dell’idea che ha dato il via a questo straordinario viaggio con protagonisti musicisti “celtici” e calabresi, per mettere insieme questi due mondi fatti di ritmi e tradizione, tutt’altro che distanti.

Domanda di rito: come nasce il progetto TarantaCeltica?

«Suono uno strumento a percussione tipico irlandese, il bodhrán: durante i miei studi ho deciso di approfondire la conoscenza di strumenti simili al mio e ho scoperto il tamburello. Incontrai Andrea Piccioni, e da subito tra noi c’è stata  una interconnessione chiara e istantanea, sia dal punto di vista umano, sia perché gli strumenti che suoniamo sono molto simili soprattutto per la tecnica, oltre che per il loro utilizzo nella rispettiva musica tradizionale. Fu allora, circa dodici anni fa, che decidemmo di provare a fare qualcosa insieme, ci pensammo e con l’aiuto di alcune persone che potevamo coinvolgere nel progetto, venne fuori un gruppo. Tutto è nato dall’incontro tra due percussionisti».

TarantaCeltica ha debuttato lo scorso aprile con tre concerti proprio in Irlanda. Come è stata l’accoglienza del pubblico irlandese?

«Non sapevamo cosa aspettarci perché molti irlandesi non avevano mai ascoltato la tarantella, oppure ne avevano solo sentito parlare, ma non avevano visto musicisti calabresi suonarla dal vivo. Adesso lo sappiamo, gli irlandesi amano la tarantella: tutti i concerti sono stati sold out, con standing ovation, con la gente che urlava, batteva le mani, ballava. Per la prima dello spettacolo abbiamo ricevuto una risposta incredibile: la gente era entusiasta ed eccitata dalla combinazione tra le due tradizioni, perché la musica irlandese è molto popolare in tutto il mondo proprio per il livello di coinvolgimento, ma la tarantella gioca alla pari in questo, perché ha la stessa energia».

Quali sono i punti in comune e quali quelli tipici di ciascuno delle musiche della tradizione irlandese e della nostra?

«Prima di tutto si usano strumenti simili, ma non uguali: ci sono cornamuse, tamburi, flauti, strumenti a corda, a pizzico che vengono utilizzati in entrambe le tradizioni. La cosa più importante è in realtà che lavoriamo con lo stesso tempo: gran parte della musica irlandese è in 4/4 o in 2/4, 6/8 9/8 e 12/8, abbiamo delle indicazioni del tempo pazzesche, e nella tarantella è la stessa cosa. É da qui che nasce l’energia della danza».

C’è qualcosa che ha lasciato stupito anche lei dal confronto tra queste popolazioni/musiche/tradizioni lontane migliaia di chilometri tra loro, ma, forse, in qualche modo, molto vicine?

«Sì, abbiamo scoperto cose in comune fra le due musiche tradizionali e continuiamo a trovarne. Quando suoniamo può essere un ritmo, una canzone, una tonalità: col ritmo e la melodia, ad esempio, abbiamo scoperto che quando le suoniamo è quasi completamente difficile distinguere tra le due musiche, quale è la calabrese e quale l’irlandese. Le due musiche sono molto simili, e questa è una cosa davvero emozionante, perché significa che questa musica si è sicuramente spostata nei secoli attraverso le varie culture».

Guardando i video promozionali del progetto, viene difficile rimanere fermi sulla sedia, i ritmi sono coinvolgenti come pochi. Può raccontarci qualche aneddoto simpatico successo durante i concerti?

«Certo. Questa musica è estremamente contagiosa e incredibilmente ballabile. Come musicisti irlandese siamo abituati all’impatto che la nostra musica ha sul pubblico, su come la gente possa rispondere. Ma da quando siamo insieme a  questi musicisti calabresi è tutto come amplificato: nei momenti musicali più impegnativi, siamo in grado anche di improvvisare, e questo ci arriva dalla tarantella tradizionale calabrese che ha nell’improvvisazione un aspetto fondamentale. Succede quindi che ci ritroviamo a suonare musica che non avevamo previsto, sul palco: la gente capisce cosa sta succedendo, che stiamo creando qualcosa di completamente nuovo e unico proprio di fronte a loro. E per loro, questa è una cosa davvero emozionante: ci sono state persone che alla fine del concerto sono venute da noi a dirci di sentirsi privilegiati per aver assistito alla nascita di qualcosa di unico e nuovo».

In questi giorni siete in Calabria per le prove prima del concerto in prima nazionale al Festival d’autunno. Cosa ne pensate e  come vi state trovando dalle nostre parti? E’ la prima volta che arrivate qui?

«Dobbiamo dire che abbiamo affrontato un lungo viaggio per arrivare fin qui, dall’Irlanda. Come musicisti dobbiamo spostarci insieme a tutti i nostri strumenti e con le compagnie aeree non è così facile, per questo è stato un lungo viaggio. Una volta qui abbiamo avuto la sensazione di essere arrivati in un posto completamente diverso dal nostro, qualcuno fra noi è stato in varie parti d’Italia, ma nessuno è mai stato in Calabria: abbiamo scoperto che fa estremamente caldo e per noi è un problema perché siamo abituati al clima del nostro paese, piovoso e freddo. Ma siamo stati  investiti da una tale accoglienza e generosità, attenzione e cura, qui a Monasterace, dove siamo ospitati adesso. La gente è curiosa su ciò che suoniamo. Ci sentiamo molto legati alle tradizioni che qui non sono qualcosa di estetico, ma sono parte della vita della gente. Già la prima sera, dopo aver bevuto qualche bicchiere di vino, ci hanno insegnato a ballare la tarantella, non siamo particolarmente bravi, ma di sera ogni tanto balliamo un po’ di tarantella. È un’esperienza straordinaria, qualcosa che difficilmente dimenticheremo».

Ci sono ulteriori date oltre quelle già note? Cosa c’è nel futuro di TarantaCeltica?

«TarantaCeltica è un progetto che va fatto per capire se funziona, non è una cosa che può nascere su carta: vanno messi insieme dei musicisti, bisogna portarli nei posti dove è nata quella specifica tradizione musicale, e farli suonare insieme. Non c’è altro modo per farlo: non puoi scrivere la musica sullo spartito e organizzare un concerto, devi essere lì. I nostri amici musicisti calabresi sono venuti a stare in Irlanda, per tornare a casa raffreddati e inumiditi, noi siamo adesso in Calabria e torneremo a casa sudati, abbiamo affrontato queste difficoltà perché siamo molto interessati a capire il livello di interesse intorno a questo progetto che è unico, non c’è niente di simile in giro. Stiamo organizzando altre date, siamo stati contattati da vari festival internazionali e canadesi: abbiamo intrapreso un viaggio insieme e continueremo, chi lo sa cosa accadrà?».

TarantaCeltica sta richiamando l’attenzione anche da fuori i confini regionali, c’è molta aspettativa in merito. Ma voi, prima di tutto, cosa vi aspettate?

«Sì, c’è molta attenzione intorno al progetto al di fuori dei Paesi coinvolti, ci sono grandi aspettative in merito. Come musicisti il nostro desiderio più grande è di comunicare, di farlo in questo contesto, in maniera gioiosa: se questa musica sta già arricchendo noi nel suonarla, deve esserlo anche per chi la ascolta. È questa la cosa più importante: la gente è interessata al progetto, va bene, è bello se la gente è entusiasta all’idea di quello che faremo, ma il dato concreto è che noi siamo con questi nuovi amici musicisti, suoniamo la nostra musica, impariamo gli uni dagli altri e condividiamo questo processo gioioso, che speriamo si possa manifestare anche per il pubblico».

Il progetto TarantaCeltica ha dei contorni ben definiti, ma la musica folk è per antonomasia senza confini: c’è la possibilità di “incursioni” da altri Paesi?

«Questa è una domanda molto interessante: la risposta è sì, certamente. Perché la musica non ha confini, la tradizione celtica non è solo prettamente irlandese, bretone o scozzese, o gaelica. Penso ci sia il potenziale per costruire tutti i tipi di relazioni e rapporti con altri musicisti. Fosse per me, vorrei un’orchestra con noi, ma dobbiamo cominciare da qualche parte e per me questo è il migliore punto di partenza».

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