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Cavalleria rusticana e Pagliacci, una prima ingolfata al Politeama

Cavalleria rusticana e Pagliacci
ph Antonio Raffaele

Classica

Cavalleria rusticana e Pagliacci, una prima ingolfata al Politeama

CATANZARO – Esordio incerto,da motore ingolfato, per la collaborazione tra Fondazione Politeama e Sicilia Classica Festival. Sabato sera a Catanzaro sono andati in scena Cavalleria rusticana e Pagliacci, i primi due titoli che segnano il nuovo connubio. Come è andata?

Pubblico numeroso, ma teatro non pienissimo: i tanti presenti hanno accolto con tiepidi e timidi applausi l’allestimento sulle opere di Mascagni e Leoncavallo. Prima di tutto, c’è da dire, che vista l’eco di questi giorni per i gravi episodi di cronaca, la scelta della Fondazione è stata un po’ sfortunata: due rappresentazioni di trame basate sulla gelosia e di cui una addirittura che culmina con un femminicidio, proprio nella giornata contro la violenza di genere, è stato un accostamento forte, sebbene certamente non voluto dagli organizzatori.

La serata è parsa insolita, poi, fin dall’inizio: il pubblico catanzarese si è spesso lamentato del troppo freddo in sala, ma del troppo caldo, d’inverno, come sabato sera, ancora non era mai accaduto. A parte il malore di una spettatrice in sala – non dovuto alle temperature, va detto -, lo spettacolo è proseguito come avrebbe dovuto, con qualche però.

Cavalleria rusticana e Pagliacci

L’Orchestra. La Sinfonica della Calabria ci ha abituati a buone prestazioni, ma ieri sera non è apparsa al meglio. La musica raggiungeva con difficoltà le poltrone e anche quel capolavoro che è l’Intermezzo sinfonico di Mascagni ha lasciato qualche perplessità. A dirigerla il maestro Aldo Salvagno.

È possibile – ipotesi – che si sia trattato di una scelta che agevolasse l’arrivo delle voci dal palco, vista anche la presenza di amplificazione: scelta non appropriata quest’ultima poiché con la presenza dei ballerini sul palco, in alcuni momenti i colpi dati dai movimenti di questi, amplificati, erano più forti della musica stessa.
Belle le voci dei cantanti, qualcuna più di altre, ma non entusiasmanti, tanto che nemmeno le arie più famose sono riuscite a strappare consensi da parte del pubblico, come si diceva.

Il coro diretto dal maestro Lidia Privitera. Spesso è parso in disaccordo con l’Orchestra, ma la cosa che più lo ha penalizzato è stata la scelta di mantenerlo diviso: separare le voci femminili da una parte e quelle maschili dall’altra ha sottolineato ancora di più la divergenza di sopra.

I costumi di Fabrizio Buttiglieri. Neri, cupi come da tradizionalissima Cavalleria rusticana, coloratissimi per Pagliacci. Le cantanti avevano appesi al collo degli ex voto piuttosto evidenti, nella prima opera. Anche qui ci sono state delle disarmonie di cui è sfuggito però il senso: agli abiti ottocenteschi del cast di Cavalleria è stato affiancato un abito di paillettes rosse di foggia contemporanea per il personaggio di Lola – la catanzarese Gabriella Aleo -, il cui senso della scelta era intuibile solo nel colore. Lo stesso è valso per Pagliacci, dove però la varietà dei costumi ha forse dato volutamente – questa è stata l’impressione – un senso di non tempo e non luogo.

In tema di discrepanza tra il narrato, il suonato e la trama, va fatto riferimento anche alle coreografie, di Stefania Cotroneo: sono parse forzate, tutt’altro che in linea con le opere, meno in Pagliacci, perché probabilmente più a tema con il clima festoso.

Le scene. Non male, sebbene statiche. Era evidente che fossero studiate per palcoscenici all’aperto, privi di fondali: hanno comunque fatto la loro parte, unendo maschere della commedia dell’arte ai pagliacci (sic) nella seconda parte, basandosi invece solo sulle luminarie a festa nella prima.
C’è qualcosa da dire sulla giornata di Pasqua in cui si svolge Cavalleria: nella scena dell’Alleluja – «Inneggiam al Signore risorto» -, la Madonna è ancora addolorata, e dopo, al brindisi dell’uscita dalla chiesa, qualcuno abbraccia una croce a mo’ di Via Crucis – la abbraccia, si noti, non la trasporta. Insomma, una Passione in ordine inverso, praticamente.

La perplessità maggiore riguarda proprio la regia di Francesco Ciprì: rendere dinamiche scene di massa, su un palco, non è mai facile, ma la staticità non aiuta di certo.

Carmen Loiacono

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