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Tra ventilatori e mare, Penelope secondo Badiluzzi

Teatro

Tra ventilatori e mare, Penelope secondo Badiluzzi

C’è molto mare in “Penelope”. È quello che vede dall’affaccio del ristorante che lei e il suo amato frequentano. È  il Mediterraneo tutto intorno all’isola in cui vive. C’è negli stessi racconti che fa. Ma è soprattutto anche nella sua testa: è lei che lo dice, a indicare la confusione che la attanaglia molto più della solitudine dell’attesa.

La figura di Penelope rivista da quelli di Oscenica – prodotta, tra gli altri anche da RomaEuropa -, vista sul palco del Teatro del Grillo, è infatti uno scandagliare il suo rapporto con se stessa, dopo il fallimentare confronto con gli altri: scritto e diretto da Martina Badiluzzi, il monologo portato in scena da Federica Carruba Toscano usa come pretesto il mito dell’Odissea e alcune tra le sue più note narrazioni, per approdare al disorientamento della donna di oggi, rivelando una Penelope tutt’altro che risolta, molto più vicina al personaggio di Margareth Atwood, che a quello di Omero. Se Ulisse è un contraltare anaffettivo, il padre della “nostra” Penelope è un novello Polifemo che arrostisce e inghiotte le sue amichette, mentre la regina di Itaca si trova a sopravvivere tra i proci, diventando lei stessa Circe e trasformando gli uomini in maialini rosa. Con in scena solo una grande poltrona, che è il trono – e anche molto altro ancora -, con alle spalle tanti ventilatori, che soffiano alternatamente come i venti mediterranei, un vero e proprio coro post-moderno, Carruba Toscano racconta. È quando immagina, però, che il palcoscenico si trasforma: il perfetto connubio del progetto sonoro dal vivo di Samuele Cestola con il disegno luci di Fabrizio Cicero – che cura anche le scene -, rendono magicamente il passaggio dal narrato all’immaginato. Se non fosse che forse tutto è immaginato: ciò che sembra dato per reale, non lo è mai o quasi in questa Penelope. Ad essere vero è il suo malessere, la sua continua ricerca perennemente frustrata, la sua fine intelligenza che la fa andare oltre le mura domestiche in cui è rintanata: se al maschile inizialmente è vomitata addosso ogni colpa, poi, arriva la presa di coscienza di un disagio che è già dentro di lei.

In realtà, a dispetto delle intenzioni, nell’esplorazione di questa innamorata contemporanea – innamorata di chi? Di cosa? -, il testo sembra attorcigliarsi in alcuni momenti attorno a se stesso, lasciando lo spettatore smarrito all’inseguimento delle “folli” altalene della protagonista. Non bastano le trovate sceniche – già citate di Cestola e Cicero -, e chi guarda si perde un poco.

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