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Pagliacci all’uscita, Latini reinventa Leoncavallo e Pirandello

Pagliacci all'uscita
ph Manuela Giusto

Spettacoliamo Off

Pagliacci all’uscita, Latini reinventa Leoncavallo e Pirandello

Due opere molto distanti fra loro in scena sul palco del Teatro Vascello in apertura della stagione 2023/2024

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ROMA – C’è acqua, tanta acqua sul palco del Vascello. È l’elemento che appesantisce i passi, sempre presente in tutte le vicissitudini umane, ma è anche la culla/tomba dell’eternità che avvolge i corpi sospendendoli in un non-tempo non-luogo. Di “Pagliacci all’uscita” il nuovo lavoro firmato da Roberto Latini, che ha debuttato nei giorni scorsi al Teatro di via Carini – tagliando di fatto il nastro della stagione 2023/2024 -, rimane impressa soprattutto lei, l’acqua, insolito tratto d’unione tra le due parti che compongono l’opera, il libretto dei “Pagliacci” di Leoncavallo e l’atto unico di Pirandello “All’uscita”, appunto.

In questa produzione de La Fabbrica dell’attore, Teatro Vascello e Compagnia Lombardi Tiezzi, Latini ha preso i due testi e li ha completamente riscritti, pur mantenendone inalterata la potenza narrativa. La nota tragedia – realmente accaduta in Calabria, come ricordato dall’accento in scena, cui Leoncavallo si ispirò -, di un femmincidio interno a una carovana di attori, è accostata senza colpo ferire allo scritto di Pirandello sulla continua dualità tra la vita e la morte.

Per raccontarli insieme Latini ricorre a un secondo ricco elemento, la commedia dell’arte. Tocca infatti a una brava Ilaria Drago accogliere gli spettatori, a sipario ancora serrato: con stile da canovaccio rivela ben presto agli spettatori il gioco del teatro nel teatro, che è quello dello spettacolo proposto dai pagliacci leoncavalliani. Ma ci sono anche le onnipresenti maschere – da sogno quella che galleggia sul finire della serata, liberata dalle mani dello stesso Latini -, e i costumi – di Rossana Gea Cavallo – a ricordarci che sono storie, passioni, filosofie senza tempo.

Sì perché Pagliacci all’uscita è prima di tutto un tributo alla drammaturgia, ma è anche un interrogarsi sul teatro, che è pure lirica: in un’opera in cui trova spazio anche per accennare al Valzer di Musetta di Puccini – musiche e suono sono di Gianluca Misiti -, non è un caso se a Marcello Sambati Latini affida il testo di “Vesti la giubba” che, sebbene solo declamato, non perde una virgola della potenza della celebre aria di Pagliacci, per quanto privata della sua componente musicale.

E non è ancora un caso se Latini fa della risata – squillante, divina come solo Elena Bucci può farla -, l’altro fil rouge tra le due parti: argentina, quella iniziale di Nedda, che sembra sminuire i sentimenti di Canio, irritante quella finale della moglie dell’Uomo grasso, al punto da spingere il suo amante a ucciderla.

Che dire poi del palco, del quale si perdono i confini: semplice distesa di acqua per Pagliacci, luogo in cui scomparire con degli acquari per All’uscita. Vero tributo all’arte scenica sono anche le luci – di Max Mugnai – che con piccoli elementi riescono a dare il senso dell’atmosfera circense (basta un filo di lampadine), e creano giochi di riflessi con l’acqua, fino a raddoppiare le tombe in cui gli spiriti sono immersi – e rotolano, come Savino Paparella – quasi dei quadri preraffaelliti, con Bucci novella Ophelia di Millais.

Carmen Loiacono

 

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